giovedì 19 marzo 2015

"Roma è tutta Roma", ma de che ?!

Il 16 marzo scorso l’annuncio “Roma è tutta Roma”: centinaia di progetti e lavori con tanto di partecipazione dei cittadini e mappa interattiva. Tra questi progetti 14 piazze saranno pedonalizzate con i sanpietrini rimossi dalle strade del centro destinate alla viabilità. E tra queste 14 piazze, quella di San Pier Damiani nel quartiere di Casal Bernocchi del Municipio X.

Un attento cittadino, che di partecipazione se ne intende, scrive al Presidente del Municipio “Piazza San Pier Damiani a Casal Bernocchi è già composta da sanpietrini....quello che servirebbe è pedonalizzarla per restituirla alla cittadinanza visto che ormai di fatto è un parcheggio di scambio per la vicina fermata del treno....”
Gli amministratori dunque a Piazza San Pier Damiani non hanno mai messo piede, però l’hanno inclusa nelle piazze da pedonalizzare con i sanpietrini e sorge spontanea la domanda se i sanpietrini esistenti saranno tolti per far posto a quelli del centro, e spediti poi con la Roma-Lido a Piramide, o se resteranno quelli esistenti e la piazza verrà comunque pedonalizzata secondo il progetto previsto dai cittadini da anni. Non è dato da sapere. La partecipazione dunque è iniziata col piede sbagliato.

L’idea di rimuovere i sanpietrini torna come un mantra, attraverso ipotesi e teorie le più infondate.
E’ dal 1585 che vengono utilizzati nella Capitale.
Nel 1927 oltre la metà delle strade di Roma era lastricata in sampietrini. I sanpietrini (i “selci” estratti dalle cave poste ai piedi dei Colli Albani e delle zone vulcaniche del viterbese e dunque non quello scadente proveniente dai paesi asiatici)
reggono il peso del traffico veicolare pesante, non trasmettono ai palazzi le vibrazioni dovute al traffico veicolare pesante, non si riempiono prima di buche rispetto a quelle in asfalto e sono meno dannosi per la salute dell’asfalto.
Dunque il sanpietrino, “faccia orizzontale” della città, così come le facciate degli edifici storici, va tutelato come un bene storico ed architettonico, come già previsto dalle disposizioni della legge n. 1089 del 1939 che prevedevano, fra l’altro, la conservazione nei centri storici delle pavimentazioni originarie, ai sensi del D.L.vo n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei Beni culturali e del paesaggio).

Parlare poi, come ha fatto il Sindaco Marino, di un passaggio epocale, “da aree marginali a nuove centralità” è stupefacente. Addirittura prefigura un “assetto urbano policentrico”, centralità che “per molti anni sono state penalizzate da disattenzione”, per cui “non sono state distribuite le risorse necessarie per i servizi essenziali: manto stradale, marciapiedi, luoghi di socializzazione”, restituendo così “dignità a milioni di persone”, facendo “di ogni luogo un piccolo centro”.
La propaganda si appropria di termini urbanistici per operazioni di maquillage. Echi di microcampanilismo si avvertono nell’aria. Dopo l’applicazione del modello insediativo americano dell’espansione senza fine, spacciato a Roma per “policentrismo”, che prevedeva appunto nuove centralità, cioè una colata indecente di cemento, siamo alla mistificazione della parole.
Citare le centralità piace sempre a chi governa la Capitale. Anche ora, come ai tempi di Rutelli e Veltroni, si è sbandierato di voler portare qualità nelle anonime periferie romane attraverso le “centralità” e i servizi essenziali, che Marino indica in: manto stradale, marciapiedi, luoghi di socializzazione. Siamo all’Urbanistica cacio e pepe.
Da anni chiediamo che ci sia un progetto pubblico lungimirante, in grado realmente di riqualificare la città, di interpretare i bisogni e costruire le condizioni per rispondere a questi bisogni, nonostante i danari in cassa non siano molti, e questo non passa per lo spostamento dei sanpietrini dal centro in periferia, magari in piazze in cui esistono già. I progetti dal basso dei cittadini romani sanno fare di meglio, anche perché molti di loro conoscono chi sia stato e cosa abbia rappresentato per Roma Nicola Zabaglia.

venerdì 13 marzo 2015

TUTTE CASE E CHIESE … E POMPE DI BENZINA


Strade con negozi chiusi, rotaie senza treni, pompe di benzina senza auto attorno, locali senza avventori, teatri senza pubblico, sale di attesa deserte. Solitudine, luoghi solitari, persone che sembrano non poter comunicare fra loro, vuoto, abbandono, estraneità, separazione. Edward Hopper, pittore di culto del 900, ha dipinto così l’America degli anni ’40 e ’50.
Europa, 2015. Nelle periferie urbane della Capitale d’Italia si costruiscono quartieri, che sono in realtà delle vere e proprie cittadine di oltre 40.000 abitanti,  sprovviste di quasi tutto, tranne che di case, chiese e ora anche di pompe di benzina. E’ il caso ad esempio del quartiere denominato Infernetto, dove manca quasi tutto (scuole, marciapiedi, biblioteca, cinema, un circolo giovanile, una sala riunione, strutture di servizio sociale, presidi sanitari, posto di polizia). L’unica piazza è ovviamente quella della nuova chiesa di San Tommaso, una delle tre chiese del quartiere, che offre a pagamento i propri spazi per le riunioni dei cittadini.  D’altronde gli enti religiosi hanno ottenuto  qualche anno fa l’ennesimo privilegio, cioè la possibilità di edificare, nei dintorni di chiese e luoghi di culto, anche uffici, case e centri commerciali, in deroga al piano regolatore.
Dopo le case, dopo le chiese, è la volta delle pompe di benzina. In una delle uniche 3 uscite del popoloso quartiere, quella di W. Ferrari, nascerà la terza pompa di benzina all’angolo con la C. Colombo. Evidentemente non bastavano le due della Esso e tutte le altre presenti sulla Colombo. Dirimpetto ecco spuntare la terza, la conferma che la visione di chi amministra la città è come sempre autocentrica.
Il perfetto automobilista risparmierà pochi centesimi al litro mentre è in fila all’incrocio e molto probabilmente il perfetto automobilista, già stressato di prima mattina, attuerà la scelta furbetta di imboccare la scorciatoia che offre la pompa di benzina per bypassare il traffico e bruciare il pieno di benzina a prezzo scontato lungo il tragitto di 40 km, tra andata e ritorno da casa a lavoro. D’altronde cosa dovrebbe fare il perfetto automobilista? Quasi tutto è lontano da casa e dunque il pieno a buon prezzo conviene, peccato poi bruciare non solo la benzina, ma anche il risparmio della liberalizzazione per raggiungere magari il fine settimana i centri commerciali che distano ad almeno 20km di distanza. E intanto la pompa di benzina ha bruciato anche lei, non benzina, ma suolo. Perché non vale solo per le case e le chiese, ma anche per le pompe di benzina ed in particolare quella che presto sorgerà sui prati pronti di Bindi, i prati più belli d’Italia, presenti negli stadi della serie A più importanti e nei campi da golf.

Se Hopper ci ha fornito una lettura del rapporto tra l’uomo e i luoghi, noi oggi rileviamo tristemente che prosegue inarrestabile la demenza autocentrica e la concentrazione di asfalto. Le pedonalizzazioni vengono  trasferite a 15km dalle migliaia di case, proliferano case, chiese e pompe di benzina, in assenza di un trasporto pubblico degno di questo nome con corsie dedicate, di car-sharing , car-pooling e byke-sharing. Cioè, abitare la geografia del nulla.
E se il pulsante dell’ispirazione di Hopper era lo sguardo di profonda e assorta aspettativa, un lento ma profondo ritmo di ascolto e di tensione, a noi non ci rimane che ascoltare la voce dell’uomo del bangladesh che ci chiede “quanto metto?” e mentre ci fa il pieno possiamo sempre sgranocchiare e berci qualcosa al distributore automatico. All inclusive.

lunedì 2 marzo 2015

Lo Stadio della Roma e il "Nightmare Breakfast"



A Milano, presso la Camera di Commercio Statunitense in Italia, durante un Power Breakfast, James Pallotta, conosciuto negli Stati Uniti come il maestro dei fondi di investimento, ha detto chiaramente che cerca finanziatori e li cerca dovunque, tra gli autotrasportatori e tra gli intrattenitori, tra i consulenti finanziari e tra i gestori di carte di credito. Purché siano giganteschi. Gli servono soprattutto per finanziare la costruzione dello stadio con il contorno di opere pubbliche e aree commerciali. Un’impresa da almeno 700 milioni di euro, forse anche un miliardo. E chi c’era ad ascoltarlo a parte il Console Americano? I vertici di Coca- Cola Italia, Ibm Italia, Carlsberg Italia, Walt Disney Italia, Brooks Brothers, United Venture, Ups Italia, Dhl Express Italy, Banca Popolare di Milano, Italtel, American Express, Amway Italia. Tutto questo mentre in Tribunale si teneva la nuova udienza per il fallimento della Sais, che ha venduto l’area del futuro impianto di Parnasi, lo Stadio della Roma a Tor di Valle.
Più che un Power Breakfast, è stato un Nightmare Breakfast perché l'operazione rischia di saltare e chissà se Pallota glielo ha detto ai Big presenti a Milano. Nel frattempo però si è già votato in Consiglio Comunale l’interesse pubblico dell’opera per accedere alla procedura semplificata che la legge sugli stadi consente, in assenza di proposta e contro ogni principio di cautela.
Poi si passerà a discutere del progetto, delle varianti al Piano Regolatore, degli espropri, delle finte opere pubbliche. Insomma, per ora il nulla di fatto. Il Comune ha riconosciuto che la proposta (non il progetto) di Parnasi ha un interesse pubblico (molto discutibile). Ora si dovrà discutere delle opere di pubblica utilità con i conseguenti espropri.

Che cosa sta accadendo in Tribunale?
Come ci informa RomaPost, si tratta della seconda udienza relativa al fallimento della Sais, società di Gaetano e Antonio Papalia, che ha venduto alla Eurnova di Luca Parnasi gran parte dell’area dove dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. L’udienza assume un’importanza particolare perché il fallimento della Sais, in base all’articolo 67 della legge fallimentare, potrebbe portare come estrema conseguenza anche all’annullamento della vendita (per 42 milioni) a Parnasi del terreno di Tor di Valle, con effetti disastrosi per il progetto del nuovo stadio giallorosso, che salterebbe o, nella migliore delle ipotesi, accumulerebbe ritardi di anni. Altra eventualità è lo scioglimento del contratto, anch’essa dannosa per l’operazione, prevista dall’articolo 72 della legge fallimentare.
Richieste dei creditori per una somma di 18 più 35 milioni. La prima udienza, il 10 dicembre scorso, è stata fermata da un’eccezione pregiudiziale presentata dai legali di Anna Maria Papalia, che oltre a essere uno degli azionisti proprietari della Sais, è anche tra i due maggiori creditori (l’altro è Equitalia, che chiede 9 milioni di euro). I creditori privilegiati, tra i quali ci sono la Banca di Credito Cooperativo e la Cassa di Risparmio di Rieti, chiedono 18 milioni di euro alla Sais mentre i creditori chirografari ne vorrebbero 35. Di contro il curatore fallimentare ha proposto 14 milioni per i creditori privilegiati e soltanto un milione e mezzo per gli altri creditori della società dei Papalia. La decisione finale spetterà al giudice Umberto Gentili. Sono 69 in totale i soggetti che chiedono soldi alla Sais. Il magistrato dovrà anche valutare se il prezzo di vendita di 42 milioni per Tor di Valle sia congruo e se le garanzie di Parnasi, che finora non hanno convinto (mancano le fideiussioni bancarie), tutelino i creditori della Sais. In caso di annullamento della cessione a Parnasi, il terreno sarà venduto all’asta fallimentare. Sulla vicenda della vendita e del fallimento sta indagando da alcuni mesi anche la procura di Roma.

paula de jesus per USARoma1.0